I social media hanno cambiato la nostra vita, hanno inciso pesantemente in tutti i settori, compresa la comunicazione politica. Ne abbiamo parlato a Roma, nel corso di una giornata di formazione Ferpi con Filippo Sensi e Luigi Di Gregorio.
Sono delegato territoriale di Ferpi (Federazione Relazioni Pubbliche italiana) per le regioni di Puglia, Basilicata e Calabria e, nell’ottica del continuo miglioramento dei professionisti associati, organizziamo spesso momenti di alta formazione. A Bari, lo scorso dicembre, abbiamo affrontato alcuni aspetti della comunicazione in ambito legale (puoi rivederlo qui).
Questa volta, ho partecipato ad un’iniziativa di Ferpi Lazio a Roma, grazie a Giuseppe De Lucia e Vincenzo Manfredi, con focus sulla comunicazione politica ai tempi dei social media. Davvero illustri i due relatori Filippo Sensi, già portavoce di Renzi e Gentiloni quando erano Presidenti del Consiglio, e Luigi Di Gregorio, docente, consulente politico ed autore del libro “Demopatìa”.
Faccio qualche riflessione sulla comunicazione politica a margine di una giornata così interessante.
I social media non sono più il futuro della comunicazione politica, e quella in genere, perché sono il presente. Non mi riferisco all’ansia di inseguire ogni nuova piattaforma come se non ci fosse un domani. Penso ad un uso più strutturale e consapevole, libero dalle vanity metrics e legato ad obiettivi concreti e raggiungibili. Una strategia affidata a chi ci lavora tutti i giorni e non ad un “giovanotto” perché ci passa le sue giornate o ad un giornalista che lo riempia di comunicati stampa e articoli di giornale (che sarebbe pure illecito).
Viviamo la società liquida, acquistiamo sempre meno perché di fatto dobbiamo abbonarci praticamente a tutto. Un abbonamento, per definizione, è a termine. Non acquistiamo intrattenimento, non possediamo persino beni più durevoli come l’automobile, semplicemente ci abboniamo finché ci va.
Solo questa può essere la chiave per capire fino in fondo la volatilità del voto ai tempi dei social media. Abbiamo perso i riferimenti ideologici che facevano sì che ognuno si sentisse al sicuro, parte di qualcosa più grande di lui. Oggi non è così, un elettore dal 2014 potrebbe aver votato tranquillamente prima Renzi poi il Movimento 5 Stelle e infine Salvini senza sentire scrupoli ideologici di coscienza.
Più che leader sembrano follower.
Considerando quanto conti analizzare gli orientamenti degli utenti, attraverso sofisticati software che setacciano la rete tutto il giorno, è facile dedurre come coloro che dovrebbero guidare in realtà sono guidati. Prendono la strada più comoda, usano il lessico più semplice ed esprimono concetti a volte al limite del rutto libero.
Allora cosa dobbiamo aspettarci dalla comunicazione politica?
Penso che si andrà verso una sempre maggiore personalizzazione della comunicazione e dell’interazione disintermediata con gli elettori. Il personal branding, che ormai abbraccia tutti i campi e tutti i livelli dirigenziali, è un pilastro sul quale lavorare. Tutti i giorni.